
IL RITO DELLA SERA
Per te ho ritagliato l’ultimo spicchio
del tempo della sera,
quando i colori si abbuiano
ed i rumori lentamente cascano in
silenzio,
nell’ora in cui tutto si tace
per la nostra vicendevole dimora
lungo i cammini del nostro firmamento …
ma la tua voce,ancora acuta e
cristallina,
che ha inventato per me un vecchio rito
che mi accompagni nel sonno del vagare
notturno
fino al risveglio,
per cui ci accompagna
il sempre tuo rianimato saluto.
E ho ritagliato per noi , nell’ora
che lenta si sfuma,
la luce della prima stella,
fino al risveglio dell’aurora,
catturata sulle ombre lontane
del rapace orizzonte
che guidi entrambi,anche se lontani,
nei meandri misteriosi elargiti dai
sogni notturni,
dai baci,dagli abbracci in
palissandro greve.
che custodiscano il nostro segreto
il desiderio di ritrovarsi dal vivo
che da sempre è un segreto ma che
forse penetreremo
con l’aiuto del daimon che si è
innestato tra di noi.
E dentro una festa di serata schiarita
ho dato al mondo la sorpresa
di un male crudele e a noi nemico:
subito sei divenuto un vigoroso
sostegno,
le tue braccia,la tua bocca
mi hanno avviluppato in una stretta
salvifica,
la tua solenne dedizione è stata
come una illuminazione del creato.
Ed io disteso sul letto,
con le costole ammaccate,
mai sono stato abbandonato.
Ed il tuo rito,il tuo saluto da lontano,
Ed il tuo rito,il tuo saluto da lontano,
per quella sera è stato inventato
tenendomi la mano.
Avevo il tuo volto vicino
mentre sussurravi parole di conforto,
e mentre ti pregavo di ancorarti al
porto
inventato dentro la stanza dell’albergo
hai dovuto lasciarmi per tornare solo
al tuo giaciglio…
ed io non so quando mi hai lasciato,
perché ho chiuso gli occhi ed ogni
segnale di rumore.
E nel fragore della strada che ci
riavvolgeva
Il saluto, la stella, lo sciabordio del
mare,
l’aurora ed il daimon truffaldino,
tutto è divenuto un balsamo
Per la mia sofferta guarigione.
Tu che mi hai liberato
Da una penosa prigione di dolore
Ancora hai perpetrato il segno
dell’affetto,
l’invito al mio ritorno
abbracciato dal tuo petto robusto,
dalle tue braccia poderose
slanciate nel mare settembrino,
per la pace di chi ha sofferto
anche l’accenno della sofferenza,
anche la nota stridente del silenzio.
Gian Franco Santoro
Firenze 20 settembre 2011
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